Il PNRR di gennaio non ci mette (ancora?) sulla strada della transizione ecologica

Marco Albani
5 min readJan 17, 2021

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L’ultima bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stata piuttosto criticata sia dal mondo ambientalista sia da economisti e commentatori politici. Su Twitter ho cercato di mettere in fila le principali obiezioni.

La crisi di governo ha poi spostato l’attenzione dalla discussione dai contenuti strategici e di dettaglio del piano alla tenuta del governo, ma discutere i contenuti del PNRR è cruciale per arrivare ad un piano che metta l’Italia su una traiettoria in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, considerando che il Next Generation EU è probabilmente l’ultima opportunità per il paese di fare grossi investimenti pubblici nel decennio cruciale 2020–2030. Quali sono quindi i punti cruciali su cui il PNRR va sostanzialmente migliorato? Qui le mie osservazioni.

Migliorare l’impostazione generale e l’allocazione dei fondi

Considerando l’obiettivo di raggiungere emissioni nette zero di gas serra entro il 2050, l’attuale impostazione del PNRR, inclusa l’allocazione generale dei fondi, fa nascere diverse perplessità:

  1. Sarebbe opportuno che la transizione ecologica venisse esplicitamente considerata sia un obiettivo di missione, che un obiettivo trasversale — come viene fatto per le priorità trasversali “Donne, Giovani, e Sud” — ovvero che vi fosse un richiamo all’obiettivo di de-carbonizzazione ed adattamento al cambiamento climatico dell’economia Italiana per tutte le missioni, non solo per la missione “Rivoluzione verde”.
  2. Sarebbe opportuna una quantificazione dell’impatto dei programmi del PNRR sul raggiungimento dell’obiettivo di de-carbonizzazione, con stima sia dell’impatto totale sulle emissioni clima-alteranti del paese, sia del costo per tonnellata di CO2 equivalente ridotta — per quegli investimenti che riducono le emissioni. Questo è non solo necessario per la missione “Rivoluzione verde”, ma anche per tutte le missioni per cui questo impatto è materiale (e.g. infrastrutture per mobilità sostenibile, digitalizzazione, salute etc.). Al momento la bozza non presenta nessuna stima di questi impatti né richiama chiaramente gli obiettivi del PNIEC (obiettivi di per sé già superati dal nuovo target europeo di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030), né quantifica il miglioramento sulle emissioni del PNRR rispetto al PNIEC (qualora ve ne fossero)
  3. Sull’allocazione delle risorse, le risorse aggiuntive — ovvero che non sostituiscono solo il finanziamento con altre risorse di progetti in essere — sono circa 36,4 miliardi sulla rivoluzione verde, ovvero circa un quarto delle risorse aggiuntive. Questo perché la metà circa delle risorse totali allocato sulla missione “Rivoluzione verde” va a finanziare progetti in essere — la quota più ampia tra le altre missioni. C’è da chiedersi quanto questa scelta sia compatibile nello spirito, se non nella lettera, con la decisione dell’UE di richiedere che un minimo del 37% dei PNRR sia dedicato alla transizione ecologica.

Allineare la missione 2 alle priorità di de-carbonizzazione del paese

Rispetto alla versione di dicembre della bozza, questa missione non vede un cambiamento sostanziale nella composizione in termine dei programmi, anche se c’è una maggiore attenzione nel contenuto di dettaglio al settore manifatturiero. Rimane però un fondamentale problema di mancato allineamento strategico tra gli interventi selezionati e l’obiettivo di de-carbonizazzione al 2030 — e intanto è sparito il tentativo di stimare le riduzione delle emissioni associate agli interventi.

  1. Guardando al “quanto” si finanzia, quasi la metà dei fondi vanno sull’efficientamento energetico degli edifici, una scelta che fa sorgere molte domande, considerando che il settore residenziale, insieme al terziario, rappresenta solo il 17% circa delle emissioni non soggette a ETS, e che gran parte di questi fondi sono allocati alla misura del “110%”, su cui ci sono diverse perplessità sia in termini di equità/inclusione che di efficienza di uso di fondi pubblici, dato che si va a finanziare al 110% interventi che di per se hanno generalmente IRR positivi.
  2. Sempre sul “quanto”, la bozza rimane piuttosto di alto livello, e non scende allo stesso livello di dettaglio nell'allocazione delle risorse rispetto alla descrizione degli interventi considerati — per esempio quando si scende al livello delle sub-componenti, non semore è chiaro quanto è allocato a ciascuna sub-componente — e.g. nell’agricoltura sostenibile vi sono 3 progetti — contratti di filiera, parchi agrisolari, e logistica per il settore agroalimentare — il finanziamento complessivo è 1,8 miliardi, che però non sono allocati tra i tre interventi, né nel tempo. Chiaramente per poter avere un piano implementabile, questa ambiguità va risolta.
  3. Nella componente Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) — 4 miliardi di nuovi fondi sui 14,58 su Energia Rinnovabile, Idrogeno, e Mobilità Sostenibile — sembrerebbe si vogliano usare i fondi per contributi a sostegno di fotovoltaico galleggiante e eolico offshore, per 4,5–5 GW di capacità rinnovabile installata, quindi ad un sussidio di 800–900 EUR / kW di capacità installata, che visti i costi tipici riportati da IRENA rappresenta un riduzione dei costi di installazione del 20–25% su offshore wind (IRENA costo installato mediano 3800 USD /kW) e del 100% sul solare (IRENA solar PV 995 USD/kW) — c’è quindi una domanda seria sulla congruenza dei target di installazione ai fondi stanziati, e se si possano ottenere risultati più ambiziosi con gli stessi fondi, oppure che siano invece sottodimensionati, visto che i finanziamenti in energia rinnovabile della EIB, in genere sono per circa il 50% del costo totale. Un’altra area che solleva perplessità è l’investimento di 360 milioni nel sostegno alla filiera delle rinnovabili, dove c’è l’intenzione di aumentare la capacità domestica di produzione di pannelli solari da 200 MW a 2–3 GW/anno e investire in tecnologia per turbine ad alta efficienza. La domanda che sorge è se invece che investire nella filiera della generazione, filiera globale in cui 360 milioni di investimento sono una goccia nel mare — non sia il caso di guardare alla filiera della de-carbonizzazione del calore — riscaldamento, acqua calda sanitaria, cucina — in applicazioni residenziali e terziario, dove forse c’è maggiore potenziale di riduzione emissioni, moltiplicatore occupazionale, e bisogno di soluzioni specifiche per il contesto italiano?
  4. Su parco rotabile, ciclovie, e trasporti locali sostenibili, dove ci sono 4,6 miliardi per nuovi progetti, serve chiaramente un breakdown delle sotto-aree, e una stima del ritorno in riduzione e crescita delle varie soluzioni. Preoccupa vedere soluzioni GNC/GNL sulla flotta autobus — sono comunque veicoli a combustibile fossile — in numero superiore a quelli elettrici, ma qui la precisione dei numeri indica probabilmente progetti in essere, e sulla flotta traghetti.
  5. Ultimo, ma non in ordine di importanza, manca una visione integrata della parte di adattamento ai cambiamenti climatici, che è vista esclusivamente come dissesto idrogeologico e approvvigionamento idrico — c’è la parte di forestazione urbana negli obiettivi della componente, ma non sembra avere nessuna linea di spesa dedicata — infatti tutta la componente M2C4 è veramente poco chiara, con incongruenza tra obbiettivi, tabella delle risorse economiche, e descrizione sintetica degli interventi.

Nel complesso, come dice Enrico Giovannini all’Huffington Post, “non è ancora il piano da presentare alla Commissione europea”. Speriamo che la crisi di governo si trasformi in una opportunità di rivedere il piano in maniera radicale, introducendo obiettivi chiari ed ambiziosi.

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Marco Albani

Climate change and sustainability professional, driving change through the power of business and fact-based pragmatic solutions.